Mazzola esclusivo: "Come brilla la mia Inter a due stelle"

L'ex nerazzurro si gode il 20° Scudetto arrivato grazie al successo nel derby contro il Milan: cos'ha detto
Ettore Intorcia
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È il 15 maggio 1966, a San Siro c’è il sole e in campo dall’altra parte c’è la Lazio, penultima giornata di Serie A. L’Inter è campione d’Europa in carica e pure del mondo, perché a settembre aveva vinto la seconda Intercontinentale di fila. Sandro Mazzola ha ventiquattro anni, è già una leggenda: spinge il pallone del 2-0 in rete e alza le braccia al cielo in un’esultanza iconica fotografata in bianconero. Finisce 4-1, l’Inter è campione d’Italia per la decima volta e fa brillare la prima stella nel cielo di Milano.

È il 22 aprile 2024, a San Siro c’è la luce dei riflettori e quella dei telefonini usati come tante piccole torce, in campo dall’altra parte c’è il Milan. Sandro Mazzola ha 82 anni e il suo mondo ha sempre due colori, quelli del cielo e della notte. Il derby più derby che c’è l’ha visto dal divano di casa. Sul tavolino una bottiglietta di Coca Cola e una copia di “Cuore nerazzurro. Una bandiera è per sempre”, l’autobiografia da poco in libreria. Sulla copertina c’è una stella che brilla in primo piano. «Ho i miei riti, ho invitato solo i miei figli, tutti devono vestirsi in un certo modo. Questa vigilia è stata lunga, continuavo a dirmi: non ci devo pensare. Potevo distrarmi per un paio d’ore, ma poi il pensiero tornava sempre alla partita decisiva, al ventesimo scudetto».

Dal 1966 al 2024, cosa significa per l’Inter la seconda stella?
«È qualcosa di fantastico, un grande traguardo per il club nerazzurro. Siamo stati i primi a portare la stella a Milano, siamo i primi a conquistare la seconda. Un momento storico».

Che immagine ha di Inter-Lazio del 15 maggio 1966?
«Un’emozione indescrivibile, che atmosfera a San Siro! Eravamo tutti impressionati, stavamo negli spogliatoi in silenzio, concentrati, ognuno seduto al proprio posto. Entrò il presidente Moratti e ci disse: “Ma cosa fate, non andate a giocare?”. Ma noi con la testa eravamo già in campo prima del fischio d’inizio».

Emozionati? Ma se avevate già vinto tutto...
«Vero. Ma a San Siro c’erano anche più di settantamila spettatori: i cori dei tifosi, il rumore degli spalti, l’atmosfera era qualcosa di impressionante. Avevamo già vinto tutto, direi che non eravamo male come squadra, no? E a inizio stagione avevamo rivinto la Coppa Intercontinentale, nella finale d’andata segnai una doppietta all’Independiente. Però noi avevamo un segreto».

Quale?
«La voglia di dimostrarci sempre superiori agli avversari, anche dopo tante vittorie. Ed era un qualcosa che partiva dagli allenamenti. Se c’era un compagno che non si impegnava o non era concentrato, beh eravamo tutti pronti a farlo rimettere in pista subito, non aspettavamo che fosse Herrera a dirgli qualcosa».

Cosa c’è in comune tra la Grande Inter e la squadra della seconda stella?
«La voglia di vincere, la voglia di prendere subito il controllo della partita. Può anche passare qualche minuto, sembra che l’Inter non attacchi e invece eccola: a quel punto non ce n’è più per nessuno».

Pochi giorni fa è stato in visita ad Appiano Gentile, ha incontrato Inzaghi e la squadra. Cosa pensa di Simone?
«Lo conoscevo già e l’ho sempre apprezzato come persona e come allenatore. E ora che è andata come speravamo, posso fargli i complimenti».

Si può dire che la seconda stella è nata nella notte di Istanbul?
«La squadra è cresciuta e dà la sensazione di poter decidere quando è il momento di vincere la partita. Corrono tutti, si aiutano, danno davvero la dimostrazione della forza del lavoro di squadra. È un’Inter troppo bella, sta giocando un calcio piacevole e lo ha fatto vedere anche a livello internazionale».


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